Eliade: il diario segreto del filosofo ossessionato da Stalin

Mircea Eliade, il più grande storico delle religioni del XX secolo, è uno dei pochi intellettuali del Novecento a essere stato citato da due successori di Pietro. Giovanni Paolo II ne parla nel 2004, nel libro con Vittorio Messori, Varcare la soglia della speranza. Benedetto XVI ne disserta a Ratisbona, nel 2006, all’interno della lezione su fede e Islam che scatenò una polemica planetaria. Eliade è per la storia della religione quello che Levi-Strauss è per l’antropologia e Carl Gustav Jung per la psicoanalisi. Nato a Bucarest nel 1907, morto a Chicago a 79 anni, più volte candidato al Nobel per la letteratura, scriveva e parlava otto lingue. Ha redatto oltre 50 volumi tra saggi, romanzi e memorialistica.

Ha stretto amicizie e sodalizi culturali con Jung, il drammaturgo Ionesco, i filosofi Cioran, Junger, Schmitt, Scholem, Ricoeur, gli storici Dumezil e Coomaraswamy, i poeti Ginsberg e Tagore, e gli italiani Papini, Pavese (che insistette con Einaudi per pubblicarlo), Gentile, Tucci, Petazzoni, De Martino. Il suo caso diventa scottante nel 1972.

Quell’anno la rivista israeliana Toladot pubblica alcune righe attribuite a Eliade e apparse il 17 dicembre del ’37 nella rivista rumena Buna Vestire, che cinque anni dopo spingono l’antropologo Alfonso Di Nola ad accusare lo storico delle religioni di antisemitismo.
L’anno dopo lo storico Furio Jesi mette in relazione gli studi di Eliade sui “sacrifici umani” nelle religioni primitive con la “mistica della morte” della Guardia di Ferro, movimento di estrema destra rumeno cui lo studioso aderì nel biennio 36-37.
Bisogna attendere il 2007, centenario della nascita di Eliade, perché il pregiudizio si attenui.

Francis Ford Coppola, il regista di Apocalypse Now, torna alla regia dopo dieci anni per girare Un’altra giovinezza, tratto dall’ultimo romanzo di Eliade, Tinerete Fara De Tinerete (Giovinezza senza giovinezza). Marco Belpoliti, sulla Stampa del 3 novembre dello stesso anno, invita a spezzare la damnatio memoriae che ha colpito lo studioso. E nel marzo dello stesso anno Franco Volpi su Repubblica afferma che l’opera di Eliade resta “un capitolo inevitabile della storia intellettuale del Novecento, un passaggio obbligato per capirne le convulsioni”. È una storia ricostruita solo per frammenti, quella degli anni di ferro di Eliade.

Ma da oggi siamo in possesso, come afferma Roberto Scagno, uno dei maggiori esperti mondiali di Eliade e curatore della sua opera completa per Jaca Book, “del più importante testo inedito elidiano e dell’unico diario non selezionato preliminarmente dal suo autore”:
è il Diario portoghese (in uscita per Jaca Book, pp. 330, euro 34). Un fascio di luce sul periodo più oscuro, sofferto e gravido di segreti del grande storico delle religioni.


Secondo Sorin Alexandrescu, il massimo storico rumeno della letteratura, il Diario è “l’Apocalisse secondo Mircea Eliade”. Lo stesso Eliade, nel Diario, parla spesso del progetto di un romanzo dal titolo Apocalisse. Alla fine opterà per una forma diaristica, una scrittura per frammenti, nella quale credeva. “Non confessione dell’io ma documento e testimonianza del tempo concreto” annota. Il tempo che Eliade racconta è quello tra il ’41 e il ’45: gli anni del conflitto planetario, della battaglia di Stalingrado, dell’atomica, delle missioni di spionaggio che condusse in prima persona, dei pedinamenti della Gestapo che subì, del ricordo del triennio in India (’28-’31) quando aveva seguito il processo a Gandhi, diventandone un seguace e denunciando le crudeltà del colonialismo inglese. E infine, in coda a tutto, c’è un mistero che permane come in una spy-story, e sopravviverà alla morte di Eliade.


“L’attacco all’Urss è un segno di debolezza da parte della Germania” annota nel Diario portoghese lo stesso intellettuale che aveva aderito ai legionari rumeni tramite il suo maestro Nae Ionescu, di cui era assistente all’università. Il movimento di Corneliu Codreanu, carismatico leader della milizia mistico-nazionalista fondata nel ’27, sarebbe poi stato sterminato in seguito al colpo di Stato di re Carol II. Eliade sarebbe stato arrestato nel luglio del ’38 e internato in un campo. Salvato da un gruppo di amici, sarebbe diventato addetto culturale presso la Legazione reale rumena, prima di Londra e poi di Lisbona. Sui miliziani rumeni scrive il 18 ottobre del ’45: “Non perdonerò mai all’ideologia legionaria di aver compromesso il pathos, l’irrazionale, la mistica… la legione ha distrutto tutta una generazione”.

Eliade legionario in Romania, Eliade che in esilio sconfessa la Guardia di Ferro. Subito dopo, verranno Parigi, e il grande cambiamento: la chiamata in Usa per una cattedra di storia delle religioni. Ma perché lo scrittore, che nel ’33 era già famoso per il romanzo Maitreyi e nel ’36 aveva pubblicato la prima opera, Yoga, apprezzata nei circoli accademici, aveva aderito ai “mistici della morte”? La chiave di lettura è la Romania, il destino storico delle “piccole patrie” europee centro-orientali schiacciate dai grandi imperi.


Eliade aveva pensato che “un movimento nato dalla volontà di fare storia e non politica” potesse innescare una scossa. Scrive Scagno: “Utopismo e astratto nazionalismo lo portano a idealizzare il movimento”, sottovalutandone l’antisemitismo. Del resto, il destino della Romania ossessiona Eliade anche a Lisbona. Incontra il dittatore portoghese Salazar, gli dedica un libro, che alla fine, confessa più volte, si disgusterà d’avere scritto. Ma va a Bucarest con un messaggio segreto del dittatore ai governanti rumeni: fate come Portogallo e Spagna, restate neutrali. Annota Eliade sul Diario: “Tirai un sospiro di sollievo quando il treno si staccò dalla banchina, avevo il timore di essere trattenuto dai servizi segreti. Il foglio sul quale avevo annotato il messaggio di Salazar l’avevo bruciato”.

La Romania non ascolterà Salazar. Comincia così l’ossessione per Stalin. “Adesso si aiuta Stalin… mi inorridisce il nulla che vedo davanti a me, la civiltà latino-cristiana che tramonta sotto la dittatura dei più abietti elementi slavi”. E ancora: “Churchill e Roosevelt si sono incontrati a Casablanca. Nessuno vede come Stalin stia giocando con loro… come rumeno non ho paura del comunismo, ho paura della Russia e della sua politica imperialista. Non abbiamo nulla da perdere con il socialismo, ma tutto con la russificazione””.


Quattro anni e sette mesi in Portogallo. A vedere la guerra non dal punto di vista dei popoli che verranno liberati dagli angloamericani, bensì di quelli che aspettano l’incubo di Stalin.
La tragedia storica si fonde con il dolore per la morte della moglie Nina. Poi l’atomica sul Giappone. “Gli Alleati detengono questa superiorità, probabile che i russi li raggiungano. C’è un altro aspetto di questa invenzione sul quale tornerò”.

Quale aspetto? Mistero: dal manoscritto manca la pagina 419. Eliade, in tutti i suoi diari, non ne aveva mai strappata una.


“La vittoria è stata conquistata grazie alle armi create dall’intelligenza. Non è stato il proletariato russo a compiere il miracolo di Stalingrado ma i matematici, i fisici, i chimici che hanno lavorato nei laboratori adeguandosi alla verità scientifica e non all’ideologia marxista o hitleriana. Se gli scienziati tedeschi avessero scoperto l’atomica nel ’41 o ’42, Hitler sarebbe padrone del mondo”.La morte (e le tecniche per superarla), i rischi di estinzione dell’umanità per mano di coloro “che hanno saputo più degli altri” resteranno nei suoi scritti.


Poi l’ultimo mistero: l’allievo prediletto, Ioan Culianu, che gli è successo nell’insegnamento, viene ucciso da un killer il 21 maggio del ’91, nell’ateneo di Chicago. Nell’85 un anonimo aveva versato un milione di dollari perché l’università istituisse una cattedra Mircea Eliade. Lui era morto il 22 aprile dell’86 mentre leggeva il capitolo a lui dedicato in Esercizi di ammirazione dall’amico Emil Cioran.

Piero Melati, 9 GENNAIO 2016, Archivi Repubblica.it